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Drone, UAV, APR: le parole sono importanti

Stabilita (all’incirca) la paternità dei droni, va risolto un altro nodo cruciale: nella vita di tutti i giorni li chiamiamo come sopra, ovvio, ma gli specialisti usano altri nomi, che è bene conoscere quando ci si muove in ambienti di appassionati.

Uno dei primi “nomi alternativi” dei droni è senza dubbio “UAV”. La sigla sta per “Unmanned aerial vehicle”, ovvero “veicolo aereo senza equipaggio” ed è una dicitura che risulterà familiare anche ai più giovani e in generale a chi videogioca, particolarmente a titoli sparatutto come “Call of Duty”, visto che si tratta di una delle dotazioni dei personaggi del celebre titolo della Activision.

Altre sigle popolari per parlare di droni sono sicuramente RPA (“Remotely piloted aircraft”), RPV (“Remotely piloted vehicle”), ROA (“Remotely operated aircraft”) o anche UVS (“Unmanned vehicle system”). Se si preferisce l’italiano, allora la sigla più frequente è APR (Aeromobile a pilotaggio remoto). Tutte variazioni sul tema, visto che si insiste sui concetti di “remoto” e “senza equipaggio” per distinguere i droni dai comunissimi aerei o elicotteri, di qualsiasi forma o dimensione essi siano.

A ogni modo, le sigle vengono decisamente scartate nel linguaggio comune, e vengono preferite solo in ambienti estremamente specialistici.

Allora perché si fa ancora un po’ di confusione quando si parla di droni?

C’entra una parola inglese antichissima che nessuno usava più fino all’invenzione non di un “aggeggio volante”, ma di un… genere musicale!

Il primo drone, con le ali ma più innocuo

Drone è una parola che viene dall’inglese parlato nel primo Medioevo: la troviamo presente in tutte le lingue del blocco anglosassone, dal tedesco allo svedese, per indicare una stessa, piccola cosa: il maschio dell’ape e il suono che emette, basso e costante. Per estensione, nel XVI secolo si iniziò a usare la parola drone proprio per descrivere un suono monotono – come quello degli insetti in questione – associandolo a persone noiose o pigre.

Arrivando al XX secolo, la parola drone verrà utilizzata per descrivere un genere musicale nato da una costola del minimalismo: la drone music si è poi espansa a toccare ambiti meno colti, ma è sempre riconoscibile per l’uso esteso del bordone, ovvero quei suoni o accordi ripetuti continuativamente per tutta la registrazione o composizione. Trattandosi di un approccio alla musica che ha avuto successo e, soprattutto, longevità, è facile comprendere come il termine si sia andato a sovrapporre a quello usato per descrivere i piccoli aeromobili.

I quali però non prendono il nome dalla musica ma, ancora una volta, dall’insetto: piccoli, dal rumore costante e, generalmente, innocui.

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